Il modello ericksoniano si fonda su alcuni principi che costituiscono altrettante linee guida dell’approccio e che caratterizzano le attività cliniche e formative della Scuola Italiana di Ipnosi e Psicoterapia Ericksoniana.
La Concezione della Trance
Secondo il modello ericksoniano la trance ipnotica, in precedenza considerata esclusivamente come un fenomeno eteroindotto, viene considerata il frutto di una esperienza diadica, di una interazione reciproca tra ipnotista e soggetto.
Questa ipotesi interattiva trova conferma non soltanto nelle classiche esperienze di James Braid (1836), ma più recentemente nei correlati neurofisiologici dell’ipnosi analizzati da Eva Bányai (1989) che ha rilevato una stretta corrispondenza tra il tracciato EEG e EMG dell’ipnotista e del soggetto che sviluppano la relazione di trance.
L'Importanza del Rapport
L’esclusività della relazione ipnotica giustifica la scelta di una specifica denominazione per questo tipo di relazione: il rapport. Il rapport viene definito da Erickson: “lo stato in cui la concentrazione e la consapevolezza del soggetto sono dirette unicamente sull’ipnotista e su quanto l’ipnotista desidera inserire nella situazione di trance, con l’effetto di dissociare il soggetto stesso da ogni altra cosa”. Questa particolare condizione che è tipica della relazione terapeutica in corso di trance ha notevole valore diagnostico e terapeutico in quanto esalta la responsività del soggetto nei confronti dell’ipnotista. L’abilità terapeutica che si richiede nella ipnosi ericksoniana consiste proprio nella capacità di cogliere prontamente la presenza del rapport e di utilizzarlo in senso terapeutico.
La Concezione Naturalistica
Non meno importante è la rivalutazione naturalistica della trance, precedentemente considerata condizione artificiale o stato alterato di coscienza. Infatti, per Erickson, la trance rappresenta una condizione naturale e niente affatto fittizia della vita quotidiana (la common everyday trance) che si riproduce frequentemente nella vita di tutti i giorni come fenomeno fisiologico e posto al servizio dell’io.
Inoltre, Erickson non riteneva necessari, per la identificazione dello stato di trance, i segni di rilassamento fisico e mentale, il rallentamento nelle risposte o i fenomeni che caratterizzano la profondità della trance.
Attribuiva invece valore, per il riconoscimento di questo stato, a “la perdita di orientamento nei confronti della realtà esterna e lo stabilirsi di un nuovo orientamento nei confronti di una realtà concettuale astratta”.
Lo studio di questo nuovo orientamento del soggetto in trance, e del suo valore cognitivo-esperienziale deve ancora essere esplorato a sufficienza, ma può fin da ora consentire non soltanto una diversa delimitazione dello stato di trance e dei suoi differenti livelli di profondità rispetto agli altri stati di coscienza, ma anche un fondamentale cambiamento nelle modalità per ottenere questo stato e per utilizzarlo nell’ambito clinico.
L'Approccio Indiretto
La caratteristica più saliente della psicoterapia ericksoniana è la modalità indiretta con cui viene prevalentemente perseguito il fine terapeutico. Indiretta può essere l’induzione della trance, che in tal caso non viene formalizzata e può invece far parte della casuale conversazione o cogliere, per utilizzarli, i segni della trance spontanea.
Indiretto può essere l’approccio al problema: in tal caso la strategia del problem solving viene proposta in forma tale da aggirare le eventuali resistenze del soggetto. Indirette sono le tecniche che consentono di proporre suggerimenti che vengono indirizzati all’emisfero destro e che creano un contesto di apprendimento in cui la scelta del soggetto è un elemento fondamentale per il cambiamento terapeutico.
Anche la filosofia dell’approccio è fondata sull’indiretto, nel senso di offrire al soggetto una serie di indicazioni o una sola indicazione con un’ampia gamma di significati possibili. L’indicazione del terapeuta viene colta dal soggetto che ha la possibilità di utilizzarne il significato che gli è più consono. L’approccio indiretto determina anche una peculiare relazione tra terapeuta e paziente.
Infatti mentre un suggerimento diretto implica necessariamente una accettazione o un rifiuto dell’intervento terapeutico, che comportano rispettivamente la possibilità di una relazione di dipendenza o la possibilità di una relazione conflittuale, il metodo indiretto invece lascia al soggetto la scelta tra i molti significati del messaggio indiretto. In tal caso ogni scelta del soggetto è legittima in quanto in accordo con le sue necessità del momento, e anche perché mantiene comunque una relazione collaborativa con il terapeuta.
In altri termini alla filosofia psicoterapeutica dell’aut/aut in cui il terapeuta può avere solo assolutamente torto o assolutamente ragione, si sostituisce quella del vel/vel, in cui il terapeuta offre solo il contesto per il cambiamento, lasciando alla scelta del soggetto il tipo di cambiamento che si verificherà.
Il Cambiamento del Ruolo dell'Ipnotista
Prima di Erickson l’approccio ipnotico era prevalentemente di tipo autoritario o fondato sul potere suggestivo dell’ipnotista.
Il ruolo dell’ipnotista era quindi ritenuto fondamentale nella realizzazione dell’induzione o degli obiettivi terapeutici.
In parte il mutamento del ruolo dell’ipnotista è riconducibile al concetto di utilizzazione e al principio del tailoring (mediante i quali il terapeuta, rispettivamente, si serve di tutto ciò che il paziente gli offre ed elabora un trattamento ‘su misura’ per ogni singolo paziente).
Utilizzazione e tailoring richiedono che sia il terapeuta ad adattarsi al soggetto senza forzare il soggetto ad adattarsi a lui o alle sue tecniche.
In secondo luogo, il ruolo di guida che molti approcci psicoterapeutici riconoscono allo psicoterapeuta, viene ridimensionato dal forte impegno richiesto al terapeuta dalla attenta osservazione del soggetto e dalla necessaria capacità di accettazione delle sue risorse.
Secondo l’opinione di Erickson: “Nel migliore dei casi l’operatore può solo offrire una guida intelligente, e poi accettare intelligentemente il comportamento del soggetto” (1978).
La “Nuova Ipnosi” proposta da Erickson restituisce, quindi, all’individuo in trance la sua qualità di “soggetto” attivo e dotato di qualità e potenzialità che l’ipnotista ha il dovere di ricercare attivamente, riconoscere e rispettare.
Questo cambiamento del ruolo dell’ipnotista che tra l’altro limita il suo intervento alle richieste che gli vengono rivolte dal soggetto, senza tentare di operare modificazioni non desiderate, indica anche una diversa concezione del potere del terapeuta.
Il potere del terapeuta è tutto al servizio del soggetto, anzi, secondo Erickson, questo potere esiste soltanto in quanto il soggetto, sentendosi riconosciuto nella sua identità e nelle sue necessità personali, è disposto a collaborare con tutte le sue forze alla working alliance con il terapeuta.
La collaborazione si trasforma in terapia efficace non tanto quando si adottano tecniche sofisticate, ma soprattutto quando si riesce a condurre una osservazione attenta, uno studio profondo, dedicato a ogni singolo soggetto per metterlo in condizione di “riassociare e riorganizzare la propria complessità psicologica interiore e a utilizzare le proprie capacità personali in modo consono alla sua stessa vita esperienziale” (1948)
Il Concetto Ericksoniano di Resistenza
Nella concezione tradizionale delle resistenze queste ultime sono considerate come una opposizione da parte del paziente o della famiglia alla esplorazione o ai tentativi di cambiamento proposti dal terapeuta. Partendo da questa premessa spesso si considerano il paziente o la famiglia poco disponibili al cambiamento che essi stessi richiedono al terapeuta e a presentare il materiale richiesto dalla terapia.
Ma Erickson ha proposto una concezione innovativa delle resistenze come comportamento che “deve essere rispettato piuttosto che svalutato e considerato come un comportamento attivo e deliberato o anche inconscio di opporsi al terapeuta… La resistenza deve essere apertamente accettata, addirittura con riguardo, perché si tratta di una comunicazione di importanza vitale di parte dei loro problemi…” (1964).
Nel modello ericksoniano la resistenza viene quindi considerata un modo in cui soggetti e famiglie collaborano alla loro terapia in accordo con le loro necessità e con i loro modelli interattivi.
Le Tecniche
Le tecniche indirette prevalgono nella psicoterapia di tipo ericksoniano: alcune di queste sono entrate ormai a far parte anche di altri modelli psicoterapeutici o, in alcuni casi già ne facevano parte e sono state considerate in maniera del tutto diversa. Ad esempio la metafora è elemento centrale di molte altre psicoterapie, ma Erickson ha saputo darle un connotato comportamentale e prescrittivo del tutto originale: le prescrizioni metaforiche, le induzioni metaforiche, le storie e gli aneddoti contenenti metafore vengono proposti con modalità del tutto peculiari nella sua opera. Gli interventi paradossali erano certamente già noti con la denominazione di “intenzione paradossale” prima che Erickson li utilizzasse (si veda Frankl 1936, e 1947). Tuttavia, questi interventi assumono per la prima volta in Erickson una varietà di forme e, addirittura la dignità di un principio ispiratore della psicoterapia stessa, fino a dar luogo, grazie alla presentazione che ne offrirà Jay Haley nei suoi scritti (1963, 1973), ad una straordinaria diffusione di questo metodo di intervento e alla affermazione dello stesso modello ericksoniano in psicoterapia.
Altre tecniche riutilizzate da Erickson in maniera del tutto diversa rispetto a quanto avveniva in precedenza sono: l’uso delle fantasie, l’uso dello spazio, il mirroring, la illusione di alternative, i truismi, le domande, ecc. Oltre a queste tecniche rielaborate da Erickson ne esistono molte altre da lui stesso ideate, ormai universalmente note ed apprezzate. Basti citare tra le altre: la tecnica della disseminazione, la tecnica della confusione, il seeding, il yes set, il reverse set, il non sequitur, e la tecnica di utilizzazione che in Erickson diventa anch’essa non solo tecnica, ma principio ispiratore del modello terapeutico.
Il Rapporto Tecnica/Processo
La parte più conosciuta del lavoro di Erickson sono certamente le sue tecniche, giustamente note per le loro qualità innovative e per la possibilità di essere impiegate non soltanto in stato di ipnosi. Ma l’interesse suscitato dalla tecnica della confusione, dalla tecnica della disseminazione e dalle numerose altre tecniche “non comuni” proposte da Erickson, ha reso meno evidente l’attenzione rivolta dall’autore alla gestalt totale della terapia, al processo terapeutico considerato tanto nel suo insieme che nelle diverse fasi che lo compongono. Una valutazione attenta delle opere di Erickson può consentire di cogliere l’attenzione prestata alla evoluzione dell’intero caso, piuttosto che agli strumenti terapeutici utilizzati. Il tempo dedicato all’osservazione del soggetto, lo sviluppo di una solida relazione terapeutica, la paziente e meticolosa preparazione dell’induzione e il legarsi di questa con la terapia stessa, la attenta rilevazione dei fenomeni della trance e la utilizzazione terapeutica dei singoli comportamenti, la cura dedicata alla fase del risveglio e il mantenimento del ruolo terapeutico fino al momento del congedo, testimoniano di questa non comune capacità di Milton Erickson di seguire costantemente il complesso andamento del processo terapeutico e delle sue fasi, e di dirigerlo con competenza, secondo le indicazioni fornite dal soggetto stesso.
La Ricerca
L’abilità clinica di Erickson fa spesso dimenticare la intensa e incessante attività di ricerca, condotta prevalentemente tra gli anni 30 e 50. Ma questa ricerca fa parte della mentalità dell’ipnotista ericksoniano, sempre attento a valutare le “indicazioni minime” del soggetto e la sua responsività, tramite un atteggiamento di ricerca nel senso più profondo del termine. La sperimentazione sul campo, la individuazione delle tecniche più idonee, l’attenzione alle risposte che seguono agli interventi, la curiosità nel conoscere lo stile personale e il repertorio comportamentale del soggetto sono altrettante testimonianze della mentalità di ricercatore che caratterizza il terapeuta ericksoniano.
La Visione Positiva dell'Individuo
L’interesse che i soggetti di Erickson suscitano nell’osservatore o nel lettore dei suoi scritti si spiega soprattutto con la capacità dell’autore di cogliere i punti salienti della personalità e della storia di ogni singolo individuo e tratteggiarli sinteticamente, ma senza mai renderli banali. In altri termini i soggetti di Erickson vengono ad assumere un ruolo di protagonisti descritti con partecipazione e benevolo interessamento. La capacità di rappresentare il singolo individuo con poche e semplici parole rende spesso inapparente il notevole lavoro di osservazione che Erickson sapeva attuare con grande attenzione e pazienza. La costruzione sapiente della architettura diagnostica da finalizzare alla realizzazione dell’intervento terapeutico conteneva sempre non soltanto la curiosità dello studioso e del clinico, ma un genuino sentimento di interesse che rendeva il soggetto descritto qualcosa di diverso da un semplice caso clinico e riusciva sempre ad evidenziarne le potenzialità e le risorse.
Se questa componente del lavoro di Erickson con i suoi pazienti risulta evidente dai suoi scritti, non è difficile immaginare come e quanto esercitasse la propria influenza sui pazienti stessi e agevolasse la costruzione della working alliance che costituisce uno dei punti chiave dell’intervento terapeutico.
L’interesse per il ruolo svolto dalle risorse stesse del paziente nella soluzione dei suoi problemi non è il frutto di un artificio estemporaneo, ma deriva dalla acquisizione di una profonda capacità di empatia, accompagnata da una visione del mondo e degli individui ragionatamente positiva e da un equilibrio interiore capace di prevenire la competitività e il cinismo nei confronti del paziente.